Realtà lontane

Sono nel treno. Ancora una volta. Sto fissando questo tizio che continua a guardare con attenzione la leva per il freno di emergenza. Il treno sfreccia veloce questa mattina. Sembra quasi che vada realmente di fretta.. E mentre penso alla storia di un treno parlante che vive la sua vita nella tristezza perché oggetto di un lavoro stancante, degradante e logorante… Bum. Mi ritrovo capovolto nel treno. Accartocciato. A terra. Contro le porte che separano i vari vagoni.

“Ma che cazzo..?”

Il tizio della leva, l’aveva tirata.

Nel treno sono tutti un po’ caduti. Un po sconvolti. Un po’ scombussolati. Due o tre arrabbiati. Si dirigono verso il tizio. Penso vogliano spiegazioni. Aspetta forse non vogliono spiegazioni. È straniero. Non ci sono giustificazioni. Maledetti figli di puttana. Il primo tizio che si avvicina è un tipo corpulento (adoro questa parola e godo ad usarla, anche se poi immagino il tipo diversamente nella mia testa), pelato, senza barba, di 40 anni circa. Mentre penso di intervenire (tra il dire e il fare c’è di mezzo “aspè, m’aggia aizà?”), lo straniero gli schiaccia la pianta del piede nello stomaco, scaraventandolo contro la parete del vagone. Il secondo tizio sembra Fabrizio Corona, e questo vi basta come spiegazione. Capelli neri lunghi, lucidi, tenuti da un codino. Neanche ha il tempo di alzare un braccio che il tizio della leva gli ha già lanciato la busta di plastica che manteneva, sulla faccia. Penso dovesse contenere qualcosa di pesante perché “Corona” cade goffamente all’indietro, dopo l’impatto (luong, luong n’terr). Il terzo tizio si ferma indeciso. Questo lo faccio immaginare a voi. Lo straniero, riconosciuta la situazione di stallo, decide di aprire le porte del treno con la seconda leva di emergenza. E, dopo aver forzato le porte, si lancia. Subito lo si vede scomparire in quello che sembra un paesaggio lontano dall’Italia. Fuori da questo mondo di merda che non ha neanche la decenza di chiedere il motivo delle nostre azioni. I suoi inseguitori si lanciano verso la porta, ma non la attraversano. In realtà non vedono neanche il paesaggio straniero. Vedono solo l’Italia. La signora grassa con la canotta rosa, che da poco si è riseduta al suo posto, pensa che avrà qualcosa da raccontare alla sua vicina che tenta di convincerla che gli stranieri non sono tutti dei criminali, perché una volta mentre faceva la spesa e bla bla bla. Il capotreno arriva e si fa spiegare la situazione. Dopo aver lasciato andare la bocca in invettive contro popolazioni immaginarie, richiude le porte e torna al posto di guida. Io mi alzo. Finalmente non sono più a terra. Ad un tratto mi ricordo della busta. Quella che il tizio aveva usato come arma per colpire. Andando verso questa, la raccolgo e ci guardo dentro. Un cofanetto di legno. Sono curioso. Decido di aprirlo (mariuol!). Per un attimo mi era sembrato vuoto, ma guardando attentamente noto che c’è un biglietto.

Lo prendo, lo apro, mi fermo.

Sul biglietto c’era scritto solo:

“LA DURA REALTÀ”.

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