Uno.
Zero.
Uno.
Zero.
Due…
Eravamo due.
Due anime distinte e separate in un oceano di UNO.
Che poi…
Vai a contare la sabbia,
i granelli nel deserto,
di giorno, di notte,
con l’alba che passa,
i tramonti che tornano…
Impossibile. Ma qualcuno dice che siamo tanti.
Io e te
vivevamo sommersi.
Immersi e sospesi in questo mare di nebbia.
Eravamo la scelta più giusta che si potesse fare.
In questo oceano.
Io e te, stretti – si cercava di non affogare.
Che poi si sa…
Si va avanti per punti fissi.
Si cercano delle basi, delle fondamenta, quattro mura, una soluzione, una casa…
Una casa bella, grande, accogliente.
Ci ficchi dentro gusti (che non avete), decisioni (che non avete preso), e tutti i problemi (sotto i tappeti).
– Perfetto!
– Alla grande!
– Te lo aspettavi?
– Che cosa?
– Che ci stava dentro tutto quello di cui avevamo bisogno…!
Serie, film, amici, sogni, desideri e la tua ca**o di libertà che se ne va a pu**ane.
Ti accorgi che la casa avrebbe bisogno di un giardino, di un ritocco, una finestra, un bagno, ma soprattutto – di una ca**o di via d’uscita…
E dopo un anno iniziano i lavori.
“Butta giù quello”, “sposta questo lì” – praticamente non vi è mai piaciuto un ca**o di quello che c’era.
Alla fine era un’idea… Cioè, meglio. Era un’ideale.
Si va avanti per punti fissi… Che non avete.
E continuiamo a cercare certezze… Che non ci interessano. Non esistono. E assolutamente – non vogliamo.
Ed eravamo io e te. In questo fiume di sassi. Trasportati e dispersi dalla corrente.
Ci tenevamo stretti.
Dicevi… “Ci siamo solo noi due”.
Eh, già… Me lo ripetevo.
Mentre ti stringevo tra le mie braccia.
E fu un attimo, un lampo… La notte, la tempesta.
Quel ca**o di temporale che parlava a voce alta!
Le verità, che fino a quel momento erano state solo sussurrate, tornarono a bussare alle porte della notte.
Scariche di nocche nelle tempie, come bassi nelle casse, un fragore così violento dar far tremare le case.
E fra tutte… Anche la nostra.
E quindi?
Ci tenemmo stretti nel letto.
Vicini, abbracciati, mentre le scosse iniziarono a devastare.
Si isinuarono tra le gambe, sotto le lenzuola, tra le promesse andate a male.
Ci aggrappammo alle porte, ai mobili, al pavimento.
Dopo poco fummo costretti a fuggire per le scale…
Il tetto non c’era più, e la pioggia continuava a scendere incessante sulle nostre teste.
E lì. Sulla cima della struttura che avevamo consacrato…
Tra le scosse violente delle verità che nessuno aveva ascoltato.
Lì, sulla cima, il quadro divenne completo.
Scorgendo le sagome e unendo le linee, capimmo che il patibolo, era l’unica casa che avevamo costruito.
E ad aspettarci, penzolanti e attraenti, sospese nella notte sotto la luce pu**ana della luna, due corde tese nell’oblio.
Ci guardammo tra le anime.
Era ormai tempo.
Tu salisti per prima, e senza proferir parola, quando le urla nelle orecchie altro non erano che un acufene bestiale, decisi che avrei fatto qualsiasi cosa per il silenzio…
E ti lasciai andare.
Ficcai la mia testa nel nodo, senza finali angoscianti e senza rantoli dannati, salutai quella fo**uta casa, e tutti i luoghi fatati.
Silenzio.
Buio pesto.
Quelle mura, che dopo ancora qualche anno, erano diventate sbarre – iniziarono a sembrare suadenti, delicate, mimetizzate.
Nascosti tra l’abitudine e la consuetudine…
Io e te,
in questo mare,
ci siamo lasciati andare.
“Ci siamo solo noi due… Per sempre.”
Mi dicevi.
Ti guardavo e pensavo… Ma che stron**ta.
Basta alzare lo sguardo e io vedo che non siamo due, ma siamo uno, uno e ancora tre, sette, dieci, cento, MILLE!
Milioni, miliardi, SETTE FO**UTISSIMI MILIARDI DI TESTE DI CA**O COME NOI SULLA FO**UTISSIMA FACCIA DELLA TERRA.
E nessuno uguale a noi… E nessuno come noi.
Ma ce ne saranno di peggiori, di migliori e di SIMILI A NOI!
E dove siamo noi adesso?
Tra le mura sconsacrate, sulle mattonelle devastate, nei ricordi della strada…
Penso poi… Che in fondo.
In questo oceano infinito di fo**uti basta**i e ignoranti pu**ane…
Quelli come noi muoiono ogni giorno.
Tra sogni suadenti e promesse andate a male.
In una maledetta giornata.