Stamattina mi sono accorta di aver perso, al mio solito, tra le altre cose,
anche me stessa.
Ho fatto subito l’appello nella Coscienza:
mi son chiamata, ma non ho risposto.
Ancora una volta assente, ingiustificata.
Ben presto dovrò convocare i miei genitori.
Preoccupata ho fatto un salto un po’ più giù
nello sterno
e scavalcata qualche costola ho urlato forte negli Atri e nei Ventricoli,
ma il mio nome è rimbalzato indietro,
come in quei pozzi lunghi e senz’acqua.
Ho dato quindi uno sguardo allo stomaco.
Nulla: di me, in me, non c’era più traccia.
Allora mi sono cercata al di fuori, nelle cose del mondo con cui ho mischiato il profumo:
nelle strade affollate di Napoli di domenica quando c’è il sole,
e in quelle solitarie, di notte, in periferia.
Nelle chiese sconsacrate.
Sui palcoscenici.
Nei cafè degli aeroporti.
Nelle dimostrazioni matematiche.
Tra le lenzuola di un motel.
Nelle pinacoteche nazionali.
Nei dischi urlati a gran voce ai concerti pieni di gente unita e sudata.
Ai reading di poesie di scrittori sconosciuti.
Fra le rose selvatiche rannicchiate nelle crepe del tufo giallo.
Nel mare.
In certi occhi pericolosamente blu, svuotati d’amore.
Eppure, io lì non c’ero.
Ero altrove.
Ho sognato un pianeta di cristallo senza odore, né sapore, né colore
in un’altra galassia
di un’altra dimensione
dove non esistevano né lingue vive
né morte
perchè nessuno aveva bisogno di parlare
ma tutti sapevano ascoltare.
Eccomi lì, a giocare,
parte di un girotondo che abbracciava l’intero globo
immenso
di cui non riuscivo a vedere la fine.
Sorpresa, ma senza interrompere la danza, guardando me stessa negli occhi mi son detta, sorridendo:
“Ti aspettavo!”.
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Denise Capuano